Ciao! Sono
Ambra, ho diciotto anni e vivo sul mare, tra Rimini e Ravenna.
In questo momento della mia vita sto convivendo con una
pandemia e ricordando una parte della mia adolescenza che non avrei mai
immaginato: l’esistenza tra quattro muri in quarantena. Da febbraio la mia
routine è stata totalmente capovolta ed io, come tutti, mi sono ritrovata in
casa a dover costruire le mie giornate in modo totalmente diverso. Prima davo
tutto per scontato e agivo in maniera meccanica: mi svegliavo, prendevo
l’autobus, arrivavo davanti a scuola per chiacchierare un po’ con i miei amici
e poi seguivo le mie lezioni. Uscita, chiacchiere con gli amici, autobus, casa,
studio. Nella mia ora di tragitto di andata e ritorno ascoltavo la musica e mi
perdevo tra i miei pensieri scolastici e adolescenziali.
Da gennaio dell’anno scorso avevo iniziato ad uscire il
sabato sera: andavo quasi sempre al Rock Planet di Cervia, la mia discoteca
preferita, con le mie amiche. Adoravo quelle serate perché eravamo molto
tranquille, andavamo soprattutto a quelle anni 90 perché amiamo quel tipo di
musica. C’era poca gente, lo staff era simpaticissimo, eravamo un bel gruppo e
riuscivamo a passare del tempo senza inconvenienti spiacevoli che ci regalava
spensieratezza e tranquillità , oltre a delle meravigliose e sincere risate. Non
ero mai stata un’amante della discoteca prima e forse non lo sono neanche ora,
ma se potessi rivivere quei momenti sceglierei di rifarlo mille volte, dato che
diventarono il mio passatempo preferito in compagnia.
Così, sabato 22 febbraio eravamo lì, travestite per la serata a tema carnevale, che ballavamo in modo indecente e scherzavamo. Ad un certo punto mi arrivò un messaggio sul gruppo di classe che diceva che la nostra prossima gita poteva saltare a causa Coronavirus e che il Governo avrebbe deciso lunedì: non potevo essere più confusa. I giorni precedenti avevo sottovalutato la situazione, ero fiduciosa, pensavo che mettendo in quarantena quei pochi casi si sarebbe risolto tutto.
Da lunedì rimasi a casa da scuola. “Va beh, mi dispiace ma
tanto tra una settimana torniamo” pensavo. Le settimane si fecero due e ancora
ci speravo.
Non prendevo più l’autobus, non vedevo più i miei amici e non
facevo più lezione, almeno per le prime poche settimane. Iniziammo a fare le
videochiamate. Il 9 marzo, proprio mentre ne stavamo facendo una, una disse che
Conte stava parlando in tv. In ogni canale c’era lui: tutta Italia fu dichiarata
zona rossa.
Iniziai a vedere passare tutti i miei giorni in modo uguale.
Guardavo sempre fuori dalla stessa finestra, vedevo arrivare la primavera.
Invidiavo persino il paesaggio, perché lui poteva cambiare alla luce del sole e
io no. Potevo solo guardare, mentre il mio tempo in quarta superiore passava
senza darmi la possibilità di sfruttare ogni attimo. Non sentivo più gli
abbracci e le carezze. Mi mancavano tutti i minuti di viaggio verso scuola che
avevo sprecato distraendomi e ogni canzone che avrei voluto riascoltare lì. Mi
pentivo di ogni volta in cui, alla mattina, ero scontrosa perché stanca e non
mi godevo abbastanza quei momenti di compagnia. Ma soprattutto, una era la cosa
che mi dava più fastidio: l’aver passato l’ultimo giorno di scuola senza sapere
che fosse l’ultimo. Non avevo salutato la mia aula, la mia classe, i giri per i
corridoi con gli amici. Non li avevo abbracciati abbastanza. Non avevo idea del
fatto che li avrei rivisti solo a giugno ma distanti, senza poterli toccare. Mi
ritrovai in casa, alla sera, alla fine di quelle pesanti giornate, ad ascoltare
la musica chiudendo gli occhi e immaginando che tutto ciò non fosse mai
iniziato. Se chiudevo gli occhi ero a scuola, all’intervallo, che gironzolavo.
Bevevo il mio caffè con tutte le persone che amo, mi stancavo a lezione e poi
uscivamo.
Il tempo in casa fu molto duro: non è semplice per un
adolescente convivere con se stesso. La mente è continuamente tempestata da
pensieri che non si possono trattenere, soprattutto in un momento del genere in
cui era praticamente l’unica cosa da fare. Essere fisicamente sola mi
terrorizzava proprio per questo. Almeno,
la quarantena mi è stata utile per qualcosa di fondamentale: ho avuto tempo di
ascoltarmi. Sono stata strappata via con la forza dai miei ritmi frenetici che
mi lasciavano solo il tempo di agire senza pensare per poi avere l’occasione di
riflettere sui miei bisogni, sul mio carattere e sulle mie emozioni. Se questo
periodo non fosse esistito, non sarei cresciuta mentalmente come mi è successo
e non avrei scoperto delle amicizie meravigliose. All’uscita dal lockdown
iniziai ad apprezzare a pieno la bellezza della spiaggia su cui avevo
l’opportunità di camminare, del mare, delle piante, della serenità delle
passeggiate. Di tutti i posti del mio piccolo mondo che avevo sempre dato per
scontati, ma che a rivederli a giugno mi veniva da piangere.
Quei mesi sono stati una lezione di vita per me, che mi hanno
insegnato tanto sia su di essa, che su di me. Li ricordo con tristezza e con un
peso sul cuore per le brutte immagini che abbiamo visto e per tutte le
difficoltà sia personali che collettive che abbiamo passato, ma li vedrò sempre
anche come un momento di forza indescrivibile che mi ha portata ad essere la
persona che ora rispetto, che capisco, che sono e che amo.